Fatto e diritto di un caso concreto estrapolato da un atto di citazione in giudizio.
FATTO
Parte
attrice, in data *****, stipulava con la società ****** un contratto
tipo per la fornitura di *****, con il quale le parti disciplinavano
un rapporto di compravendita di ******, con relativo obbligo di
escusiva e con durata contrattuale decennale decorrente dalla prima
fornitura;
il
rapporto è proseguito stabilmente fino all'aprile 2012, dopo di che
la suddetta società interrompeva, immotivatamente e senza alcun
preavviso, il rapporto posto in essere fino ad allora;
pertanto,
considerando illegittimo il comportamento della società convenuta,
parte attrice comunicava alla ****** con raccomandata datata
01.09.2012, la propria determinazione a pervenire alla risoluzione
del contratto stipulato tra le parti, facendo salvo ed assegnando,
altresì, termine per pervenire all'adempimento contrattuale, nonché
a porre in essere quanto necessario per ottenere il risarcimento dei
danni subiti,
per
contro, la società convenuta non tardava a dare risposta alle
richieste attoree, giusta raccomandata datata 20.09.2012, con la
quale ricordava l'art. 13 del contratto di fornitura stipulato tra le
parti, il quale, recitava: “la
parte acquirente potrà recedere dal presente contratto in qualsiasi
momento. In tal caso nessuno indennizzo spetterà alla parte
venditrice per l'anticipata estinzione del rapporto.”;
il
suddetto riscontro di parte convenuta concludeva adducendo che tale
volontà di recedere era stato comunicato già da diversi mesi, nel
rispetto dei principi di correttezza e buona fede, oltre che in vista
della salvaguardia dei propri interessi e, pertanto, rigettava
integralmente le richieste formulate;
successivamente,
l'attore si rivolgeva a codesto Studio Legale, dov'è, esaminata la
documentazione relativa al caso, rispondeva alla convenuta società
con raccomandata datata 12.06.2014, con la quale si chiarivano gli
aspetti particolari e controversi della vicenda al fine di tendere
una mano al bonario componimento della vicenda;
per
contro, la società convenuta con pregiata sua datata 12.07.2014
ribadiva i contenuti della succitata missiva precedente, inoltre, la
stessa metteva nero su bianco altre motivazioni a sostegno della sua
interruzione contrattuale, infatti aggiungeva: “che
la società ***** ha esercito gli impianti oggetto di fornitura sino
al luglio 2012 (come da comunicazione di sospensione inviata in data
18.07.2014); che la dismissione degli impianti de quo è avvenuta per
sopravvenute problematiche tecniche, imputabile a difetti e vizi di
fabbrica dei macchinari in argomento.”;
questa
esposizione dei fatti si conclude ribadendo che parte attrice, sino
alle odierne comunicazioni, non ha ricevuto alcun preavviso ne di
recesso e ne di fine attività, inoltre, sta di fatto che per onorare
gli impegni di produzione assunti nel suddetto contratto parte
attrice aveva provveduto ad acquistare immobili, assumere personale,
nonché ad acquistare beni strumentali utili ai fini contrattuali.
Il contratto stipulato tra le
parti: Inquadramento giuridico e disciplina del recesso.
Il
contratto di somministrazione è il contratto con cui una parte
(somministrante) si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo, a
eseguire, a favore dell'altra (somministrato), prestazioni periodiche
o continuative di cose (art 1559 c.c.);
pertanto,
inquadrando in questo schema il contratto stipulato tra le parti
vediamo cosa dice sul punto la dottrina e la giurisprudenza in merito
alla facoltà di parte dell'esercizio del diritto di recesso;
Il
contratto di somministrazione può prevedere un termine finale. Si
pensi al caso in cui esso sia stato stipulato a tempo determinato,
ovvero all'ipotesi in cui la determinazione sia stata effettuata
indirettamente, per relationem, con riferimento ad ulteriori
elementi, quali una predeterminata quantità di merce da fornire
(Cass. Civ., Sez. III 6864/83; Cass. Civ., Sez. III 4291/81). I
contraenti, nell'ambito dell'autonomia negoziale loro accordata,
possono inoltre prevedere ipotesi specifiche di recesso convenzionale
(unilaterale o accordato ad entrambi, anche sulla scorta di
differenti presupposti di fatto) ed anche pattuire che la cessazione
del rapporto possa avvenire in difetto di preavviso;
Risulta
altresì prospettabile l'eventualità in cui le parti non abbiano
previsto alcun termine finale alla durata del contratto . In tale
ipotesi si fa riferimento alla norma di cui all'art. 1569 cod. civ.,
la quale prescrive che, qualora la durata della somministrazione non
è stabilita, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, dando
preavviso nel termine pattuito o in quello stabilito dagli usi o, in
mancanza, in un termine congruo, avuto riguardo alla natura della
somministrazione;
La
legge prevede, conformemente al principio relativo a tutti i rapporti
di durata indeterminata, un caso di recesso legale;
Colui
che esercita il diritto di recedere non è tenuto in alcun modo a
giustificare la propria scelta. Egli deve piuttosto preavvisare
l'altra parte allo scopo di evitare il pregiudizio insito
nell'interruzione ad nutum del rapporto, né risulta possibile
surrogare il termine con la corresponsione di un'indennità (ciò che
invece è possibile nel contratto di agenzia ex art. 1750 cod. civ.).
Non sono richieste forme particolari ai fini della dichiarazione di
recesso, la quale può anche risultare per facta concludentia;
Come
stabilire la congruità del termine di preavviso? Si reputa che esso
vada stabilito dal giudice, in base alle clausole contrattuali, agli
usi, alla natura della somministrazione (Cass. Civ., Sez. III
1496/77). In difetto di specifiche pattuizioni, una volta esercitato
il diritto di recesso, questo non potrà sortire efficacia sulle
prestazioni eseguite o in corso di esecuzione, secondo la regola
generale di cui al comma II dell'art. 1373 cod. civ.. Si rammenta che
il III comma della stessa norma, analogamente applicabile, stabilisce
che, qualora sia stata stipulata la prestazione di un corrispettivo
per il recesso, questo produce effetto quando la prestazione viene
eseguita.
Il contratto stipulato tra le
parti: Contenuto e clausole contrattuali.
Vagliate le caratteristiche
generali, relative solo ai punti di interesse del caso in esame,
dello schema contrattuale posto in essere dalle parti, entriamo nello
specifico dello stesso onde valutare lo spettro di azione dei vari
diritti di parte, in special modo del diritto di recesso;
la prima cosa da tenere a mente è
la presenza nel contratto in oggetto di un termine finale dello
stesso, stabilito nell'art. 5 in dieci anni decorrenti dalla data
della prima fornitura, inoltre, è presente all'rt. 4 dello stesso un
obbligo di esclusiva da parte dell'impresa venditrice, cioè
l'odierna attrice, la quale, durante il periodo di validità del
presente contratto, era tenuta a fornire la biomassa esclusivamente
alla parte acquirente;
passando agli artt. 6 e 7, essi
regolano i diritti e gli obblighi di entrambe le parti, quello che
questa difesa vuole evidenziare in questa parte di contratto è il
sistema di comunicazioni a cui le parti dovevano attenersi
nell'esecuzione contrattuale;
infatti entrambe avevano stabilito
che ogni ritardo o impedimento relativo alla consegna della biomassa
doveva essere comunicato immediatamente con lettera raccomandata
a.r., inoltre, entrambe le parti erano tenute, nell'ipotesi di
cessazione dell'attività commerciale, di comunicare formalmente con
raccomandata a.r la data prevista per il termine dell'attività
suddetta con un anticipo di almeno 180 giorni;
stesso discorso è stato fatto con
le regolamentazioni poste dall'art. 10 (inadempienze) e dall'art. 11
(cause di forza maggiore), infatti entrambi prevedono obblighi di
tempestive comunicazioni;
infine, l'art. 13 (Diritto di
recesso dal contratto) attribuisce unicamente alla parte acquirente
il diritto di recedere dal contratto unilateralmente “ad nutum”
senza alcun indennizzo spettante alla parte venditrice.
Pertanto, dalla generalissima
analisi effettuata, notiamo che lo schema contrattuale voluto dalle
parti è ancorato ad un fitto sistema di comunicazioni volto a
garantire l'efficacia dell'adempimento delle singole prestazioni ed a
evitare qualsiasi effetto non voluto dalle stesse, inoltre, lo stesso
prevede un termine finale di scadenza del contratto fissato in dieci
anni;
inoltre, l'inclusione in tale
contratto del recesso unilaterale ex art. 1373 c.c., dettato
dall'art. 13, il quale, secondo parte convenuta, sarebbe stato
azionato conformemente ai dettami legislativi previsti in materia,
secondo questa difesa è, invece, manifestamente illegittimo sia
nella sua formulazione all'interno del sinallagma contrattuale e sia
nella sua attuazione da parte della società convenuta;
infatti,
nei rapporti di durata, la facoltà di recesso non è ammessa se non
espressamente prevista dalle parti, insieme ad un preciso termine
entro cui esercitarla, infatti la giurisprudenza ha stabilito che:
“Il diritto di
recesso ex art. 1373 c. c. , insuscettibile di interpretazione
estensiva per la sua natura di eccezione al principio generale della
irrevocabilità degli impegni negoziali, non può essere svincolato
da un termine preciso o, quanto meno, sicuramente determinabile, in
assenza del quale l'efficacia del contratto resterebbe
indefinitamente subordinata all'arbitrio della parte titolare di tale
diritto, con conseguente irrealizzabilità delle finalità perseguite
con il contratto stesso.” (Cass.
civ., 22-12-1983, n. 7579);
altra
giurisprudenza:
“Nei contratti di durata, in cui sono previste reciproche
prestazioni da attuarsi in un lungo lasso di tempo, qualora la
cessazione del rapporto sia pattuita con riferimento alla
consumazione di una certa quantità di beni o di merci da parte di
uno dei contraenti, non può parlarsi di durata indeterminata,
risultando il termine finale del rapporto prefissato in modo
indiretto col rinvio al verificarsi della prevista situazione di
esaurimento del bene o della merce in questione; con la conseguenza
che l'esistenza del termine finale (certus an incertus quando)
preclude la possibilità del recesso unilaterale, che è applicabile
ai contratti senza alcuna determinazione di tempo, essendo i suoi
effetti in contrasto con un'esplicita, diversa volontà delle parti.”
(Cass.
civ., 28-11-1981, n. 6354);
Quanto
alla necessità di un preavviso la dottrina maggioritaria
richiamandosi al principio di buona fede, reputa comunque necessario
un congruo preavviso (la cui misura andrà determinata caso per
caso); in difetto, si determinerebbe l'inefficacia del recesso (
Bianca, 741; Mirabelli, 301; dubbiosamente Gabrielli, 33, secondo il
quale occorre valutare la concreta disciplina convenzionale);
pertanto, questa difesa, considera
illegittimo sia il diritto di recesso così come applicato dalla
società convenuta e sia il comportamento della stessa
nell'adempimento delle proprie obbligazioni contrattuali, per le
seguenti ragioni:
- Violazione dell'obbligo di buona fede e abuso del diritto.La correttezza e la buona fede, alla luce della lettura imposta dal principio di solidarietà, fungono sia da criterio di integrazione del contratto, sia da limite per le pretese delle parti contraenti. Debitore e creditore sono quindi accomunati da una disposizione di carattere generale che impone loro di comportarsi secondo le regole della correttezza ex art. 1175 c.c.. La buona fede sancita in generale a carico dei soggetti del rapporto obbligatorio si specifica nell'obbligo di salvaguardia, che esige da entrambe le parti di salvaguardare l'utilità della controparte nei limiti di un apprezzabile sacrificio.La buona fede si compie in una duplice direzione in quanto nei confronti del creditore fa si che gli sia vietato di abusare del suo diritto e, nello stesso tempo, lo obbliga ad attivarsi al fine di evitare o contenere gli imprevisti aggravi della prestazione o le conseguenze dell'inadempimento; nei confronti del debitore incide nella misura in cui questi è tenuto oltre che ad adempiere alla prestazione dedotta nel titolo, anche a salvaguardare gli interessi del creditore che non sono tutelati specificatamente dal rapporto obbligatorio, ma ne sono comunque connessi.Rispetto alla posizione creditoria, quindi, criterio rivelatore della violazione dell'obbligo di buona fede oggettiva, quindi, è quello dell'abuso di diritto.Gli elementi costitutivi dell'abuso del diritto, ricostruiti attraverso l'apporto dottrinario e giurisprudenziale, sono i seguenti: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrificio cui è soggetta la controparte.Come conseguenza di tale, eventuale abuso, l'ordinamento pone una regola generale, nel senso di rifiutare la tutela ai poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva.Compiuta una doverosa premessa teorica sul principio di buona fede e sull'abuso del diritto, procediamo con l'applicazione delle prospettive esegetiche illustrate, al caso concreto.In particolare occorre verificare la correttezza del comportamento della società convenuta sia nell'esercizio della facoltà di recesso ad essa riconosciuta dal contratto di fornitura stipulato tra le parti e sia nell'adempimento degli obblighi informativi di cui agli artt. .6, 7, 10 e 11 dello stesso contratto.Con riguardo al diritto di recesso occorre in prima battuta osservare come tale facoltà sia riconosciuta dal legislatore all'art. 1373 c.c., II comma. Autorevole dottrina ha affermato che la funzione del recesso nei contratti di durata sia quello di consentire ad una parte di sciogliersi dal rapporto, o perché sia venuto meno il suo interesse o perché siano modificate in modo sostanziale le condizioni contrattuali.Orbene, nella fattispecie concreta, stante la completa assenza di qualsiasi mezzo atto ad essere recepito come recesso o tanto meno come preavviso di recesso, non sono rappresentate le indicate motivazioni che giustificano lo scioglimento del contratto, inoltre, visto che l'unico mezzo con il quale tale recesso è stato portato a conoscenza di parte attrice sembra essere rappresentato solo dalla racc. a.r. datata 20.09.2012, il modo in cui questo è stato esercitato appare del tutto disinteressato degli interessi della controparte oltre che illegittimo per mancanza di preavviso;stessa considerazione è possibile farla per gli obblighi informativi a cui erano tenute le parti per salvaguardare l'intero sinallagma contrattuale;Alla luce di tali considerazioni, deve ritenersi senz'altro contrario a buona fede il comportamento della *******, pertanto, questo Studio legale, considera le richieste avanzate con la suddetta allegata datata 20.09.2012 del tutto legittime in fatto ed in diritto.
- L'inadempimento degli obblighi informativi da parte della società convenuta e risoluzione contrattualeCostituisce inadempimento qualsiasi deviazione nella condotta delle parti del contratto rispetto al programma in questo prestabilito. Tale deviazione può riguardare l'entità della prestazione; il modo; il tempo;nell'analisi della nozione di inadempimento rilevante ai fini della risoluzione, non può non prescindersi dal sistema costituito dagli art. 1218, 1453 e 1455 c.c.. Da tale blocco normativo emerge che l'inadempimento che legittima la risoluzione deve possedere due requisiti fondamentali, dovendo essere: 1) colpevole (art. 1218 c.c.); 2) grave (art. 1455 c.c.);per quanto attiene all'essenza della colpa che rende rilevante l'inadempimento ai fini della risoluzione, è stato affermato in linea generale che la colpa della parte inadempiente consiste nella effettiva volontà del debitore di sottrarsi ingiustamente alla prestazione dovuta; ma perché tale volontà manchi, rendendo l'inadempimento non imputabile al debitore, è necessario che questi abbia usato la diligenza del buon padre di famiglia, senza essere sufficiente la sola buona fede;in linea generale si concorda sul fatto che è colposa una condotta deviante rispetto ad una regola, e che questa regola può essere una norma giuridica (di legge o di contratto), sia una regola di comune prudenza;quando, perciò, si tratta di stabilire se il convenuto nel giudizio di risoluzione abbia fornito o meno la prova liberatoria, occorre stabilire se egli: a) abbia rispettato le norme di legge o di contratto che ne disciplinano la prestazione; b) abbia rispettato le regole di comune prudenza, esigibili da qualunque altra persona della sua condizione;queste regole di comune prudenza, a loro volta, si dividono in due gruppi: a) regole da osservarsi nell'adempimento di obbligazioni comuni; b) regole da osservarsi nell'adempimento delle obbligazioni professionali;l'accertamento della colpa, pertanto, consiste in una comparazione: si metterà a confronto la condotta concretamente tenuta dal convenuto, per come dimostrata in giudizio, con la condotta che sarebbe stato ragionevole esigere da un debitore “medio”, e cioè dall'uomo medio (nel caso di inadempimento di obbligazioni comuni) o dal professionista medio (nel caso di inadempimento di obbligazioni professionali);nel nostro caso in esame, la società convenuta, ha deliberatamente posto nel nulla gli obblighi informativi su cui si poggia la salvaguardia degli interessi dell'intero contratto di somministrazione, il quale, peraltro, è stato predisposto d'intero pugno dalla stessa, in quanto solo con la sua comunicazione datata 20.07.2014 ha reso noto alla parte attrice di aver cessato l'attività impresa e solo con quella datata 20.09.2012 ha reso noto il suo recesso;pertanto, il contratto è rimasto privo di alcun adempimento da parte della società convenuta per aver violato: 1) l'art. 7, lettera f), il quale, in caso di fine attività, prevedeva un preavviso tramite raccomandata di 180 giorni; 2) l'art. 11, il quale prevedeva che qualora una delle parti subisca un evento rientrante nelle nozioni di causa di forza maggiore dovrà tempestivamente darne avviso all'altra parte comunicando la natura dell'evento e la sua importanza; 3) l'obbligo giuridico di dare preavviso in caso di recesso;pertanto, comparando tale comportamento di parte convenuta con i criteri di accertamento anzidetti, possiamo evidenziare che nessuna cura è stata posta dalla stessa al fine di evitare l'inadempimento e, pertanto, lo stesso è esclusivamente imputabile alla ******.;per quanto riguarda il secondo requisito richiesto dalla configurabilità della risoluzione contrattuale, cioè la gravita dell'inadempimento, il criterio di valutazione adottato preferenzialmente dalla corte di cassazione, è quello relativistico;in base a tale criterio occorre coordinare la valutazione dell'elemento obbiettivo della mancata o inesatta prestazione nel quadro dell'economia generale del contratto, con l'elemento soggettivo, cioè con l'interesse in concreto dell'altra parte all'esatta e tempestiva prestazione;un catalogo degli elementi di cui tener conto nella valutazione della gravità dell'inadempimento si rinviene in Cass., 16.10.1981, n°5425, in foro it. Rep., 1981, Contratto in genere, 304, secondo cui la valutazione della gravità dell'inadempimento va compiuta con riguardo: a) alla volontà manifestata dai contraenti; b) alla natura ed alla finalità del rapporto; c) al comportamento colpevole o non dell'inadempiente; d) all'economia complessiva della convenzione; e) all'interesse dell'altra parte all'esatta e tempestiva prestazione;nel caso in esame, gli obblighi informativi scaturenti dal contratto di fornitura stipulato tra le parti ha avuto come effetto principale l'inadempimento definitivo delle obbligazioni primarie;Infatti, parte attrice si è ritrovata con un immotivata interruzione delle richieste di forniture le quali hanno stazionato negli appositi luoghi di ritiro per oltre cinque mesi, cioè dall'aprile 2012 fino al settembre 2012 (data della prima lettera di messa in mora da parte dell'attrice), e per le quali, invece, era stato stabilito un ritiro mensile;il contratto, per il quale era stata stabilita una durata decennale, prevedeva la fornitura di cinquemila tonnellate di prodotto annuo, per assolvere tale adempimento parte attrice ha dovuto comprare e fittare immobili, attrezzature varie e assumere maggiore forza lavoro, pertanto, aveva un interesse notevole alla continuazione contrattuale;da quanto anzidetto, parte attrice non era mai stata portata a conoscenza delle cause di forza maggiore in cui versava la società convenuta, e non era neanche a conoscenza della volontà di questa di recedere dal contratto, se non con i riscontri pervenuti a seguito delle richieste di risoluzione;il rispetto delle clausole contrattuali da parte della convenuta avrebbe consentito alla controparte di porre un rimedio, tentando di ridurre al minimo i rischi ed i danni emergenti da tale situazione, pertanto, l'inadempimento di parte convenuta deve essere considerato notevolmente grave ai fini della legittimità della richiesta di risoluzione contrattuale.in conclusione, a seguito dell'analisi effettuata, questa difesa ritiene legittima la richieste di risoluzione contrattuale effettuata da parte attrice con sua datata 01.09.2012 e, pertanto, chiede l'integrale risarcimento del danno di €_________,
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