domenica 4 ottobre 2009

DIFFAMAZIONE SU FACEBOOK

Commette il reato di diffamazione (art. 595 c.p.) chi offende l'altrui reputazione in assenza della parsona offesa. In questo caso la pena è della reclusione fino ad un anno e della multa fino a € 1032,91.

La Cassazione (sent. 04.04.2008, n. 16262) ha avuto modo di precisare come, ai fini dell'integrazione del delitto di diffamazione (art. 595 c.p.) si deve presumere la sussistenza del requisito della comunicazione con più persone qualora il messaggio diffamatorio sia inserito in un sito internet per sua natura destinato a essere normalmente visitato in tempi assai ravvicinati da un numero indeterminato di soggetti, quale è il caso del giornale telematico (ma anche di un forum), analogamente a quanto si presume nel caso di un tradizionale giornale a stampa, nulla rilevando l'astratta e teorica possibilità che esso non sia acquistato e letto da alcuno.

La diffusione tramite internet di comunicazioni offensive dell'altrui onore o reputazione configura l'ipotesi di diffamazione aggravata dall'uso di un (altro) mezzo di pubblicità (art. 595 comma 3, c.p.), anche nel caso di scritto contenuto in una testata telematica. A impedire la configurabilità dell'aggravante del mezzo della stampa e delle più severe sanzioni comminate dall'art. 13 legge n. 47/1948 (per il caso di attribuzione di un fatto determinato) è ancora oggi, secondo la dottrina e la giurisprudenza dominanti, il tenore letterale dell'art. 1 della legge sulla stampa, che configura le nozioni di stampa e stampato sulla base di un criterio tecnico e finalistico, il primo dei quali sarebbe applicabile alla realtà virtuale soltanto in virtù di una interpretazione analogica in malam partem , vietata dal nostro ordinamento (ex art. 14 disp. prel.).

Premesso ciò si tratta di verificare se sussistano sia l'elemento oggettivo (il fatto) sia l'elemento soggettivo (dolo).

Per quanto concerne il primo aspetto si può dire che il reato di diffamazione tuteli l'onore dell'individuo in tutte le sue manifestazioni, ovverosia protegga sia la percezione che la persona abbia di se stessa, sia l'interesse del soggetto a che il mondo circostante non leda la sua dignità esteriore: tutto ciò anche e soprattutto in quanto l'onore è una delle modalità con le quali l'individuo si manifesta, a sé e agli altri, e quindi è certamente bene primario dotato di rango costituzionale. Ciò determina una casistica pressoché infinita e sorti ondivaghe e mutevoli, legate allo scorrere del tempo. Sono considerate offensive non soltanto le espressioni oggettivamente diffamatorie, ma altresì, a seconda dei casi, affermazioni insinuanti o problematiche, espressioni dubitative o allusive, perfino omissioni, per tacer del variegato orizzonte giurisprudenziale in materia di stampa, dove l'interprete spazia oltre, occupandosi di accostamento tra frasi, contesto in cui sono inserite, didascalie, fotografie, titoli.

Per quanto concerne l'elemeno soggettivo, è richiesto il dolo generico, definibile come volontà di realizzare l'azione tipica (e cioè la comunicazione con più persone) nella consapevolezza dell'offensività delle espressioni utilizzate, a prescindere da qualsiasi indagine in merito alle motivazioni perseguite dall'agente.

Quando si può parlare di diffamazione su Facebook?
L’inserimento di frasi offensive, battute pesanti, notizie riservate la cui divulgazione provoca pregiudizi, foto denigratorie o comunque la cui pubblicazione ha ripercussioni negative, anche potenziali, sulla reputazione della persona ritratta possono integrare gli estremi del reato di diffamazione, punito dall’art. 595 c.p.
E’ diffamatorio:
• creare il gruppo “Quelli che odiano il proprio capo bastardo” oppure “Quelli a cui sta antipatica la bidella cretina” ; le espressioni “bastardo” o “cretina” hanno una inequivoca carica offensiva;
• rivelare sulla propria o altrui bacheca che il collega di lavoro ha, ha una relazione extraconiugale con la segretaria;
• inserire la foto – come è accaduto – della propria ex fidanzata nuda o in atteggiamenti intimi.

Particolare attenzione merita il discorso della pubblicazione di foto; infatti non ci si può nemmeno difendere dicendo che comunque l’amico aveva consentito a che gli venisse scattata la foto. La Cassazione, anche recentemente ha precisato che il consenso ad essere ritratti non comporta il consenso a utilizzare le foto.
Per parlare di diffamazione l’offesa deve essere rivolta a un soggetto determinato o determinabile. Se si parla male di una persona senza far capire di chi si tratta non è reato. Ma per aversi diffamazione non è necessario mettere nome, cognome, generalità del diffamato: è sufficiente inserire riferimenti che consentano di rendere conoscibile la persona offesa o comunque attribuibile l’offesa ad una persona determinata.
Non è reato dire che i tassisti di Bologna sono dei ladri, perché l’offesa non è rivolta ad un soggetto determinato, invece rischia una denuncia il ragazzo che apre un gruppo del tipo ” I prof della 5B del Liceo Garibaldi di Pomezia sono delle teste di c…”.
Quali sono le pene previste?
Penalmente le conseguenze sono diverse a seconda che si parli di diffamazione semplice o aggravata.
Nel secondo caso le pene sono più severe e possono prevedere la pena della reclusione da sei mesi a tre anni.
In caso di diffamazione semplice sono previste pene pecuniarie (intorno ai 1.000 – 1.500 euro).
Il vero problema non è però rappresentato tanto dalla pena (che il più delle volte viene condizionalmente sospesa), ma dai costi connessi al procedimento penale che più o meno sono gli stessi sia in tribunale che dal giudice di pace.
In caso di condanna occorre infatti:
• pagare il legale della parte civile;
• pagare il proprio legale
• pagare il risarcimento dei danni provocati alla parte lesa (diversamente quantificabili a seconda dell’entità dei medesimi).
Per una parola di troppo, si rischia di dover sborsare 8.000 euro senza nemmeno accorgersene.

3 commenti:

  1. ca....o!!! allora a me che mi danno? l'ergastolo? Leggi tutto: http://www.montemesolaonline.it/Laterizi.htm

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  2. Secondo me non è giusto definire reato di diffamazione lo sputtanamento delle nefandezze del capo imbecille, altrimenti la Legge fa il suo gioco e 'sti individui se ne fanno un'arma.. nel senso che "posso fare tranquillamente il porco tanto poi nessuno mi chiederà mai conto". All'occorrenza bisognerebbe entrare nel merito dei fatti e se non veritieri considerare soltanto il reato di calunnia. C’è la necessità di creare un scudo legale contro la sindrome di schettino.
    Io ho scritto la mia esperienza con la stupidità dei miei ex direttori, è online da oltre 2 anni e stranamente nessuno si è mai fatto avanti ad avanzare pretese nei miei confronti. Leggi tutto: http://www.montemesolaonline.it/Laterizi.htm

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  3. Secondo la Cassazione è reato dire al capo “tu non capisci un cazzo”
    Frosinone, malgrado il giudice di pace abbia stabilito che la frase è ormai entrata nel gergo comune, pronunciata nel corso di una discussione di lavoro e intesa solo a comunicare il proprio dissenso, in realtà secondo la Suprema Corte l'ingiuria rimane.
    Io penso che sia giusto il licenziamento se la frase ha un contenuto ingiurioso verso il capo.. e in questo caso è sicuramente così. Ma se la definizione riflette esattamente le scarse competenze professionali del capo, dico proprio che è un sacrosanto dovere scoperchiare il suo effettivo valore, anzitutto per proteggere l’azienda per cui si lavora, ed è un diritto per se stesso poiché può succedere che in particolari circostanze come l'attuale crisi economica, si rischia perfino la chiusura e la conseguente perdita del lavoro. Pertanto i giudici non dovrebbero soffermarsi sulla frase in se, ma scavare nel contesto
    Ti illumino http://www.montemesolaonline.it/Lettera_Aperta_direttori-stupidi.htm

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