Sotto il profilo giuridico, per stato di ebbrezza si intende, in modo non dissimile dalla scienza medica, una condizione fisiopsichica transitoria dovuta all’ingestione di bevande alcooliche, inducente nell’individuo uno stato di alterazione dei processi cognitivo - reattivi, tale da annebbiare semplicemente le facoltà mentali, incidendo sulla prontezza dei riflessi, senza che ciò debba importare necessariamente la perdita, totale o parziale, della capacità di intendere o di volere, ovvero la degradazione completa della personalità.
Nel tentativo di arginare le stragi del sabato sera e contenere l’aumento del numero delle vittime di incidenti stradali si è poi provveduto, con D.L. 3 agosto 2007, n. 117 convertito con modificazioni dalla Legge 2 ottobre 2007, n. 160, ad introdurre un elemento di straordinaria novità ed importanza, rappresentato dalla previsione di tre fasce di ebbrezza alcoolica, cui corrispondono conseguenze sanzionatorie diverse in relazione al tasso di concentrazione etilica accertato. A seguito delle modifiche apportate dal decreto legge 92/2008 e dalla successiva legge di conversione 24 luglio 2008, n. 125, il testo vigente è così schematizzabile:
- Qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8 grammi per litro (g/l), è prevista l’ammenda da euro 500 a euro 2000, e la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da tre a sei mesi;
- Qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,8 e non superiore a 1,5 grammi per litro (g/l), è prevista l’ammenda da euro 800 a euro 3.200 e l’arresto fino a sei mesi. All’accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da sei mesi ad un anno;
- Qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l), è prevista l’ammenda da euro 1.500 a euro 6.000, l’arresto da tre mesi ad un anno e la sospensione della patente di guida da uno a due anni. La patente di guida è sempre revocata, ai sensi del capo I, sezione II, del titolo VI, quando il reato è commesso dal conducente di un autobus o di un veicolo di massa complessiva a pieno carico superiore a 3,5t. o di complessi di veicoli, ovvero in caso di recidiva nel biennio. Ai fini del ritiro della patente si applicano le disposizioni dell’articolo 223. Con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena a richiesta delle parti, anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato ai sensi dell’articolo 240, secondo comma del codice penale, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato. Il veicolo sottoposto a sequestro può essere affidato in custodia al trasgressore, salvo che risulti che abbia commesso in precedenza altre violazioni della disposizione di cui alla presente lettera.
Modalità di accertamento dello stato di ebbrezza. In primo luogo, si è osservato come la norma incriminatrice in esame (art. 186, co. 2, C.d.s.), sebbene faccia riferimento alla necessità di un “accertamento”, non indichi, tuttavia, le modalità attraverso cui questo debba avvenire, legittimando in tal modo la possibilità di ricorrere ad un accertamento puramente indiziario, seppur conforme ai requisiti di gravità, precisione e concordanza stabiliti dall’art. 192, comma 2, c.p.p..
Alle medesime conclusioni deve giungersi avendo riguardo all’art. 379 del regolamento di attuazione ed esecuzione del codice della strada che, com’è noto, disciplina le modalità di accertamento, prevedendo che esso “si effettua mediante l’analisi dell’aria alveolare espirata: qualora, in base al valore della concentrazione di alcool nell’aria alveolare espirata, la concentrazione alcoolemica corrisponda o superi 0,5 grammi per litro (g/l), il soggetto viene ritenuto in stato di ebbrezza”.
La norma in questione, tuttavia, da un lato non considera dirimente neppure l’accertamento con l’etilometro, tanto da prevedere la necessità di procedere ad accertamenti scientificamente più attendibili, quali l’esame del sangue ad opera delle strutture sanitarie di base, in particolare in caso di incidente (cfr. comma 5 art. 186) e, dall’altro, comunque, impone agli agenti operatori di indicare “le circostanze sintomatiche dello stato di ebbrezza, desumibili in particolare dallo stato del soggetto e della condotta di guida” (cfr. art. 379, comma 2 reg.) e ciò, si badi bene, sia nel caso in cui si sia comunque proceduto all’accertamento con l’etilometro sia nel caso in cui l’interessato si sia rifiutato di sottoporsi alla prova.
Questa norma, rimasta immutata a seguito della riforma, mostra come per il legislatore lo stato di ebbrezza possa essere accertato, anche in assenza di misurazione, appunto attraverso le c.d. circostanze sintomatiche.
Si badi, peraltro, come la norma attualmente in vigore, in modo non dissimile da quella previgente, renda facoltativi gli accertamenti strumentali da parte degli agenti, senza che questi abbiano l’obbligo di effettuarli: il comma 3, infatti, prevede che gli organi di Polizia stradale, secondo le direttive del Ministro dell’Interno, nel rispetto della riservatezza personale e senza pregiudizio per l’integrità fisica, “possono” sottoporre i conducenti ad accertamenti qualitativi e non invasivi o a prove, anche attraverso apparecchi portatili, e quindi, in presenza di esito positivo, hanno la “facoltà” di effettuare l’accertamento con strumenti e procedure determinati dal regolamento, anche accompagnando l’interessato presso il più vicino ufficio o comando (comma 4, art. 186 C.d.s.).
I problemi che possono sorgere sono numerosi e meritano di essere esaminati attentamente.
La prima questione attiene alle modalità attraverso cui è possibile accertare in modo sintomatico un tasso alcolemico compreso tra 0,5 e 0,8 g./l., idoneo ad integrare la fattispecie incriminatrice prevista dall’art. 186, co.2, lett. a, C.d.s..
Dagli studi condotti nell’ambito della medicina legale e tossicologia forense, emerge con evidenza come un tasso di alcolemia compreso tra 0,5 e 0,8 g./l. sia di per sé idoneo a determinare solo uno stato di euforia e disinibizione da parte del soggetto, sintomi ambigui, senza dubbio non necessariamente riconducibili unicamente all’assunzione di sostanze alcooliche e, a fortiori, inidonei a costituire prova inequivocabile del superamento della soglia penalmente rilevante.
Il problema si pone in modo drammatico proprio nei casi in cui l’accertamento avviene in via sintomatica o, per meglio dire, in via indiziaria sulla sola base delle circostanze sintomatiche riferite dai testi, perché in tal caso il Giudice non ha a disposizione una misurazione precisa del tasso alcolemico ottenuta mediante la strumentazione tecnica.
In questi casi, ogniqualvolta sia ravvisabile una scarsa pregnanza delle circostanze sintomatiche riferite dai verbalizzanti, l’esito che si impone nella generalità dei casi è l’assoluzione, consentendo al giudice di pervenire ad una sentenza di condanna solo quando le circostanze sintomatiche risultino così indicative ed univoche da ritenere provato, oltre ogni ragionevole dubbio, il superamento della soglia di alcolemia massima prevista.
Il principio del libero convincimento del giudice viene in questa materia ampliato a dismisura, potendo l’organo giudicante persino disattendere l’esito fornito dall’etilometro, ancorché risultante da due determinazioni del tasso alcoolemico concordanti ed effettuate ad intervallo di cinque minuti (cfr. Cassazione penale, SS.UU., 27 settembre 1995, n. 1299, Cirigliano), in tal modo aggravando i rischi di errore insiti nelle argomentazioni induttive, fondate, nella materia in esame, il più delle volte sulle sole dichiarazioni rese dai verbalizzanti.
A quest’ultimo proposito, appare opportuno evidenziare l’ulteriore problema rappresentato dalla valutazione discrezionale dei sintomi riscontrati da parte dei pubblici ufficiali: il verbale da essi redatto a seguito del controllo, spesso contenente formule stereotipate e generiche, non dovrebbe ritenersi assistito da fede privilegiata, in quanto le dichiarazioni in esso riportate attengono ad una percezione sensoriale dei verbalizzanti implicante margini di apprezzamento, e come tali suscettibili di contestazione senza necessità di proposizione della querela di falso (cfr. Cassazione Civile, Sezione Seconda, 17 ottobre 2005, n. 21367).
Ciò nonostante, il ricorso ai principi fondamentali che informano il nostro sistema processuale penale impongono di ritenere l’accertamento meramente sintomatico idoneo ad assurgere al rango di prova dello stato di ebbrezza solo quando vengano riportate circostanze oggettive, non implicanti alcuna valutazione o margine di apprezzamento da parte dell’agente verbalizzante. In caso contrario l’accertamento compiuto dai verbalizzanti ben potrà risultare fallace, dovendo pertanto costituire mero indizio e non potendo assurgere al rango di prova certa dello stato di ebbrezza, con la conseguenza che al conducente dovrà essere data la possibilità di provare con ogni mezzo l’erroneità della valutazione effettuata dai verbalizzanti.
Un altro problema che merita di essere evidenziato è rappresentato dal tempo intercorrente tra la guida del veicolo ed il momento in cui il conducente viene effettivamente sottoposto a controllo.
Il problema si pone con particolare riferimento a quelle ipotesi, soprattutto di sinistri stradali previste dal comma 2-bis e 5 dell’art. 186 C.d.s., nelle quali l’intervento degli agenti e la sottoposizione a controllo del conducente si verificano talvolta a distanza di molto tempo.
Com’è noto, il tasso alcolemico presente nel sangue si riduce con il passare del tempo, risultando dunque difficile accertare quale fosse l’esatto valore etilico al momento del verificarsi del sinistro stradale.
Ma soprattutto, sebbene possa sembrare un’ipotesi limite, è ben possibile che il conducente assuma subito dopo l’incidente sostanze alcooliche: una volta giunti sul posto i verbalizzanti e sottoposto il soggetto a controllo etilometrico, verrebbe riscontrato lo stato di ebbrezza, ma ciò non costituirebbe prova del fatto che il soggetto fosse ebbro nel momento in cui si trovava alla guida della propria autovettura né, tantomeno, nel frangente del sinistro stradale, cosicché risulterà assai arduo stabilire, oltre ogni ragionevole dubbio, quale fosse il tasso alcolemico presente al momento dell’incidente e, conseguentemente, il giudice ben difficilmente potrà addivenire ad una sentenza di condanna per guida in stato di ebbrezza.
Non va del resto sottaciuto come la rilevazione effettuata dalla Pubblica autorità con la strumentazione in loro dotazione e basata sull’analisi dell’area alveolare espirata, si è in più di una occasione prestata ad essere oggetto di critiche e dubbi con riferimento alla reale attendibilità delle rilevazioni.
Senza voler in questa sede esaminare la sterminata casistica in materia, sembra opportuno evidenziare che, qualora il test con l’etilometro venga eseguito entro 20 minuti dall’assunzione di alcool, lo strumento misurerà non solo l’aria alveolare espirata, ma anche i vapori d’alcool presenti nel tratto orale-esofageo, fornendo misurazioni falsate per eccesso.
Ad analoghe conclusioni può giungersi nel caso in cui il soggetto, poco tempo prima di sottoporsi all’esame, abbia rigurgitato quanto ingerito: anche tale circostanza è idonea a fornire misurazioni fallaci, perché il reflusso di aria e liquidi gastrici contengono alcool in quantità maggiore a quella realmente presente in circolo.
Né vanno trascurate le condizioni fisiche del soggetto, potendo alcuni farmaci e talune patologie broncopolmonari alterare il rapporto esistente tra la concentrazione ematica di alcol e quella respiratoria.
Infine, vi è la possibilità che il soggetto possa risultare positivo al test subito dopo aver fatto uso di determinati medicinali, colluttori, spray boccali, e persino dolciumi contenenti piccole quantità di liquore. Da accertamenti effettuati dalla Polstrada di Rimini, è infatti emerso come ci siano attualmente in commercio ben 59 colluttori e 41 sciroppi a base alcoolica, tendenzialmente idonei ad alterare il tasso alcolemico rilevato dall’etilometro.
Sebbene tali sostanze contengano minime quantità di alcool, risultando così inidonee ad influire su una misurazione ematica, è tuttavia possibile che un test spirometrico eseguito nei minuti immediatamente successivi all’assunzione possa essere influenzato dai vapori d’alcool presenti nel tratto orale ed esofageo.
Per evitare il rischio di ottenere risultati inattendibili, sarà dunque opportuno eseguire il test dopo circa 20 minuti dall’assunzione delle predette sostanze, in modo tale da ridurre al minimo il rischio di misurazioni fallaci. In proposito, giova evidenziare come l’art. 379 del Regolamento preveda che la concentrazione etilica debba risultare da almeno due determinazioni concordanti effettuate ad un intervallo di tempo di 5 minuti; tuttavia, si ritiene che il predetto spatium temporis richiesto dalla norma regolamentare sia da qualificarsi come intervallo minimo; di talché, mentre risulta illegittimo il risultato della prova effettuato a distanza di meno di 5 minuti dalla prima, è invece da considerarsi lecito, oltre che auspicabile, che la seconda prova venga effettuata dopo un intervallo pari o superiore a 20 minuti, in modo da ridurre al minimo le possibilità di ottenere misurazioni fallaci.
Con ciò non si intende certamente sostenere l’assoluta inattendibilità delle verifiche strumentali effettuate dalla Pubblica Autorità, quanto piuttosto evidenziare come le misurazioni spirometriche, basate sulla concentrazione alcolica presente nell’area alveolare espirata dal soggetto, così come più in generale tutte le misurazioni legate al tratto orale-esofageo (es. esame della saliva), possano essere influenzate da più fattori, rendendo necessario valutare criticamente ed attentamente i risultati di volta in volta ottenuti, attribuendo al conducente il diritto, seppur nella maggior parte dei casi estremamente gravoso, di discolparsi fornendo prova del malfunzionamento dell’etilometro o comunque l’inattendibilità delle risultanze del test cui è stato sottoposto.
La necessità del consenso all’accertamento e le conseguenze in caso di rifiuto. La nuova norma stabilisce che nei confronti di chi si rifiuta di sottoporsi all’accertamento debba applicarsi la stessa pena prevista dal comma 2, lettera c), analogamente a quanto avverrebbe qualora fosse accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro.
Il conducente sarà dunque punibile con l’ammenda da euro 1.500 a euro 6.000, l’arresto da tre mesi ad un anno, nonché la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo da sei mesi a due anni e la confisca del veicolo con le stesse modalità e procedure previste dal comma 2, lettera c), salvo che il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione.
Con l’ordinanza con la quale è disposta la sospensione della patente, il prefetto ordina che il conducente si sottoponga a visita medica secondo le disposizioni del comma 8. Se il fatto è commesso da soggetto già condannato nei due anni precedenti per il medesimo reato è sempre disposta la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida.
A seguito della novella legislativa, il reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma 7 deve ritenersi integrato al momento della manifestazione del rifiuto, indipendentemente dalle ragioni dello stesso e persino nel caso in cui in conducente abbia ammesso di trovarsi in stato di ebbrezza, giacché l’ammissione di responsabilità non esclude la necessità dell’esame clinico.
Perché il reato possa dirsi integrato, occorre tuttavia che la richiesta di accertamento da parte dei verbalizzanti sia legittima e conforme ai criteri stabiliti dall’art. 186 C.d.s., con particolare riferimento al rispetto della riservatezza personale e senza pregiudizio per l’integrità fisica del soggetto sottoposto a controllo.
A tale ultimo riguardo, delicati problemi si pongono con riferimento al prelievo ematico coattivo o, più in generale, alla necessità del consenso da parte del conducente coinvolto in incidenti stradali e sottoposto alle cure mediche a seguito delle lesioni riportate.
Il problema si pone soprattutto in quanto il comma 5 dell’art. 186 C.d.s. attribuisce agli organi di Polizia Stradale la possibilità di richiedere l’accertamento del tasso alcolemico da parte delle strutture sanitarie per i conducenti coinvolti in incidenti stradali e sottoposti alle cure mediche, senza precisare se tale accertamento sia subordinato al consenso dell’interessato.
Il tema risulta particolarmente importante in ragione dei contrapposti interessi in gioco: da un lato vi è la necessità di acquisire ogni elemento utile per valutare l’eventuale colpevolezza del soggetto, mentre dall’altro vi sono principi costituzionalmente garantiti tra i quali l’inviolabilità della libertà personale e la libertà di scegliere se sottoporsi o meno ad un trattamento sanitario, previsti rispettivamente dagli artt. 13 e 32 della Costituzione.
La giurisprudenza è in più occasioni intervenuta in materia per precisare come il prelievo ematico possa essere effettuato in assenza di consenso dell’interessato solo nell’ambito di un protocollo medico di pronto soccorso e quando necessario a fini sanitari (cfr., ex plurimis, Cassazione penale, sez. IV, 09 dicembre 2004, n. 4862). La misurazione del tasso alcolemico sarà, in questi casi, pienamente legittima e dunque utilizzabile ai fini probatori, indipendentemente dal consenso del soggetto sottoposto alle cure del personale sanitario.
Al di fuori di queste ipotesi tassativamente previste, l’accertamento potrà avvenire esclusivamente previo consenso da parte dell’interessato, in assenza del quale i risultati eventualmente ottenuti dovranno considerarsi illegittimamente acquisiti e dunque inutilizzabili ex art. 191 c.p.p., potendo anche comportare una eventuale responsabilità penale per lesioni personali o violenza privata a carico del personale medico che abbia eseguito il prelievo in violazione di legge.
La facoltà di accompagnamento per gli accertamenti sanitari, previsto dal Codice della Strada, si concretizza dunque esclusivamente nella possibilità, accordata all’organo di Polizia, di invitare il soggetto a sottoporsi al controllo sanitario; non rientrando quest’ultimo tra le misure restrittive della libertà personale, non è pertanto possibile disporre l’accompagnamento coattivo nel caso in cui la persona rifiuti di sottoporsi alle verifiche sanitarie, potendo tale rifiuto comportare solo l’applicabilità delle sanzioni previste dal comma 7 dell’art. 186 C.d.s.
estratto da: http://www.altalex.com/index.php?idnot=44462
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